Recensione alquanto critica a Die Schweiz und Italien: Kulturbeziehungen aus zwei Jahrhunderten (Einsiedeln, Benziger, 1941) di Lavinia Mazzucchetti e Adelaide Lohner, che riconosce genericamente i meriti del libro ma sostiene che esso dia un’immagine squilibrata dei rapporti tra Italia e Svizzera: la Svizzera ne esce positivamente e molto celebrata, l’Italia alquanto negativamente. Da notare che lo stesso commento aveva fatto pochi mesi prima il Minculpop nella sua autorizzazione alla traduzione italiana del volume. Da confrontare con le recensioni positive di Zoppi uscite su “Nuova Antologia” (all’edizione tedesca del 1941) e “Rivista degli studenti svizzeri” (all’edizione italiana del 1943). Cfr. la sezione “note” per ulteriori considerazioni.
Nel marzo 1940 Roedel aveva tenuto una serie di conferenze sui rapporti culturali tra Svizzera e Italia in diversi circoli svizzeri in Italia, per incarico del Segretariato degli Svizzeri all’estero della “Nuova società elvetica”; il testo fu raccolto nel volume Relazioni italo-elvetiche nel presente e nel passato (Lugano, Veladini, 1941). Sul tema Roedel scrisse poi tre testi: I rapporti fra Italia e Svizzera nel Risorgimento, (in “Archivio storico ticinese”, VII, 2, settembre 1961, pp. 347-58); Le relazioni tra l’Italia e la Svizzera (in “Il Veltro”, XI, 4-5, 1967, pp. 363-745), Relazioni culturali e rapporti umani fra Svizzera e Italia (Bellinzona, Casagrande, 1977).
Insieme a Francesco Chiesa, Roedel era membro estero del Centro Studi per la Svizzera italiana presso la Reale Accademia d’Italia. E’ possibile che la recensione negativa fosse dovuta anche a ragioni politiche, dato il malcelato antifascismo di Mazzucchetti.
Trascrizione:
Il libro raccoglie e coordina, collegandoli insieme, numerosi brani di autori svizzeri e italiani che in diverso modo illustrarono le relazioni culturali intercorse fra la Svizzera e l’Italia nei secoli XVIII e XIX, la limitazione cronologica è dichiarata nel titolo: ma le compilatrici avrebbero fatto bene a premettere una notizia dei rapporti che fra la Svizzera e l’Italia intercorsero prima del 1700, e ad estendere la loro significativa raccolta di testimonianze al secolo nostro, una parte del quale si può già considerare materia di storia. Ciò sarebbe stato tanto più opportuno in quanto, a leggere il volume ora pubblicato, vien fatto spontaneo di avvertire che se tutto ciò che si diceva della Svizzera nei secoli XVIII e XIX potrebbe, nelle sue grandi linee, valere ancor oggi, quanto invece allora si diceva e si ridiceva dell’Italia oggi non regge più.
Mi spiego: dal libro, di cui cercherò di mettere in evidenza i notevoli pregi, risulta che anche coloro che un tempo intendevano amare l’Italia, ne elencavano i difetti con una insistenza che, considerata storicamente, non può urtare nessuno, ma che tuttavia farebbe piacere di constatare superata. Madame de Staël, ad esempio riferendosi all’Italia, poteva dire che “la civilisation y est beacucoup moins raffinée que dans d’autres pays”; G. P. Viesseux notava che in Italia non si vedevano “que des Neapolitains, des Romains, des Lombards, des Toscans et des Liguriens qui se détestent récirpoquement et qui de longtemps ne seront pas appelés à faire revivre l’honneur du nom italien sous un meme souverain” ; B. de Hennezl trovava presso una gran parte degl’italiani soverchia “malpropeté” ; a L. Schutless sembrava che di fronte a certi elementi del popolo italiani si potesse avere l’impressione di vedere riunita «l’intera canaglia del mondo” ; e si potrebbe continuare.
La facilità con cui giudizi di questo genere ritornano nei brani degli autori del Settecento e dell’Ottocento, non può non destare nell’odierno lettore il rincrescimento che ci si sia limitati nella raccolta a un periodo che fu, per gli italiani, dei più difficili, in cui l’Italia, pur essendo sempre sotto vari aspetti alta fra le genti, era sotto altri in una condizione di effettiva inferiorità che spesso si prestava ad essere esagerata dagli stessi suoi amici.
È vero che l’oggettività delle due compilatrici ha assegnato un posto anche a una piccola contropartita (se così è lecito dire), in quanto nel libro sono riportati giudizi negativi piuttosto noti su, su certi atteggiamenti della vita svizzera, del Foscolo, del De Sanctis, dello stesso Mazzini, che del resto si espressero anche con sensi di alta ammirazione. Però qua e là, in questa parte, le compilatrici non hanno saputo rinunciare ad attenuare quei giudizi affermando, ad esempio, che il De Sanctis si era lasciato urtare da “mille esteriorità”. A un tal proposito, occorreva ammettere che anche quelle che avevano urtato il De Sanctis non erano poi tutte “esteriorità”, e che il grande critico aveva saputo vedere addentro in varie cose.
Insomma, quando si guardi oltre le consuete esaltazioni dei valori artistici e delle bellezze naturali italiane, il libro, non proprio per una particolare tendenza che sarebbe del resto stata legittima, ma per i caratteri stessi dell’epoca alla quale le compilatrici hanno limitato la loro attenzione, conduce a una grande evidenza soprattutto gl’imponenti sviluppi a cui nel corso di quest’epoca è assurta in vari campi del pensiero e della vita, la Svizzera; e tende a dimostrare – come è detto nella prefazione – che “la piccola Svizzera poté essere a suo tempo di esempio e di sprone nel campo letterario, pedagogico e politico a un paese del rango culturale dell’Italia”. E in ciò è il singolare interesse che esso presenta [… parla del Caffè dei Verri].
In quell’epoca la Svizzera era uno dei pochi paesi all’avanguardia del progresso. E appunto per questo, e perché non era ancora ben conosciuta, ed anche per altre ragioni, molti grandi italiani, scienziati quali lo Spallanzani e il Volta, avventurieri quali il Casanova, romantici quali l’Aleardi, uomini politici quali il Cavour, esuli quali il Foscolo, il Mazzini, il Cattaneo e tanti altri anche meno noti e qui presenti, si recarono fra i suoi monti e la sua gente. I sentimenti che essi espressero nei confronti del piccolo paese confederato che appariva loro sotto tanti aspetti così diverso dal loro, furono nel complesso di calda ammirazione e sovente di amore [… Saussure, Bernoulli, Meyer, …].
Tutto ciò è appunto quanto i primi tre capitoli del libro, rispettivamente intitolati “Italiani che vedono la Svizzera”, “La Svizzera quale paese d’asilo” e “Svizzeri che conseguono la conoscenza dell’Italia”, raccolgono e a volta a volta presentano con opportuni e accurati cenni introduttivi. Il quarto capitolo, intitolato “La Svizzera quale iniziatrice” raccoglie scritti di alcuni Svizzeri iniziatori di nuove affermazioni sempre nel campo dei rapporti culturali fra i due Paesi. Così esso contiene brani interessanti di J. J. Bodmer sulla rivelazione di Dante da lui attuata a Zurigo; altri, più noti e discussi, di G. C. L. Sismondi sulla nuova indagine storica delle “Repubbliche italiane del Medioevo”; altri molto conosciuti di Madame de Staël suscitatrice della polemica romantica in Italia; e infine pagine e lettere di G. P. Viesseux, sul “Gabinetto” e sull’Antologia da lui fondati. Questo e il capitolo seguente intitolato “Influssi pedagogici”, che parla appunto degli influssi pedagogici che la Svizzera esercitò sull’Italia con il Padre Soave, col Pestalozzi, con il Padre Girard, sono i due capitoli più significativi del libro, quelli che più chiaramente attestano il contributo offerto dalla Svizzera alla cultura italiana. L’epoca alla quale il libro è limitato non permette di registrare influssi pedagogici italiani sulla Svizzera, e nel capitolo quinto non può trovar posto che una attestazione di riconoscenza per il “Cuore” di E. De Amicis! Forse qualcuna delle testimonianza incluse nelle altre parti avrebbero trovato miglior posto in questa: in ispecial modo le pagine riguardanti J. Burckhardt, la cui interpretazione e valorizzazione del Rinascimento italiano, anche se parzialmente può essere discussa, rimane sempre fondamentale sull’argomento, ed è certo una delle più significative manifestazioni del pensiero svizzero.
Dicendo ciò non intendo sostenere ad ogni costo anch’io, come qualcuno fa, che l’importanza del Burckhardt e di altre figure di questi capitoli, stia tutta nel fatto che esse, per tipica natura e mansione loro, fossero figure di “Mediatori” fra la cultura del Sud e la cultura del Nord e viceversa. La teoria della Svizzera mediatrice, anche se sotto imponenti aspetti indubbiamente vera, è di quelle che, quando non si voglia cadere in forzature ed in assurdi, non sopportano dimostrazioni estreme. Mi si consenta di chiarire, nello stesso interesse dell’importante argomento. Che il Bodmer sia un pioniere degli studi danteschi in terra di lingua tedesca è fuori di dubbio; che il Burckhardt abbia aperto definitivamente ai popoli in genere e a quelli tedeschi in ispecie la comprensione del Rinascimento italiano è verissimo; ma del constatare questo allo stabilire che ci volessero proprio loro, cioè proprio gli Svizzeri, per introdurre il culto di Dante e quello del Rinascimento fra i Tedeschi, c’è divario. Se la benigna sorte volle che sorgessero fra gli Svizzeri questi benemeriti della cultura, non è detto che essi non avrebbero potuto sorgere anche fra gli studiosi di altri paesi e sai pure di paesi che non includessero nel loro seno diverse culture. Con ragione i Tedeschi e gli altri popoli, pur riconoscendo agli alti meriti degli Svizzeri, non vorranno ammettere che senza di essi non sarebbero giunti, ad esempio, a Dante ed al Rinascimento. Quanti sono gli studi tedeschi e non tedeschi indipendenti da quelli svizzeri, e pur vitali e fondamentali, su grandi momenti o questioni o figure italiane, ad esempio nel campo della Storia civile e in quelli dell’Archeologia e della Storia dell’arte!
Ben fecero le compilatrici del volume a non insistere su questo punto, pur non evitando di toccarlo.
Il Burckhardt, che forse più di ogni altro svizzero fece opera di effettiva penetrazione di un’intera epoca italiana, aderì in pieno agli spiriti del paese di cui illustrava uno dei più fulgidi periodi. Basta leggere le pagine riprodotte in questo volume per sentire come le sue dichiarazioni di amore all’Italia spicchino nette fra le dichiarazioni di tanti altri. È appunto questo amore effettivo il segreto della sua penetrante comprensione: questo suo amore non è affatto cieco e non si lascia accecare. Il Burckhardt, pur vedendo, oltre che le luci, anche le ombre della vita italiana, arrivava a considerare Roma “ancora la regina del mondo”, a giudicare che “fuori delle sue mura” non sarebbe stato “più totalmente felice”, a dichiarare esplicitamente che l’Italia gli aveva “aperto gli occhi”. Questo è lo stato d’animo di un appassionato sincero; ed è appunto questo stato d’animo, e soltanto esso, che, quando ci si aggiunga la penetrazione dell’ingegno, può condurre l’uomo a conquiste del genere di quelle conseguite dal grande Basilese; conquiste che certo legano i due paesi con vincoli molto stretti e molto grati.
[… titoli e brevi sintesi degli ultimi due capitoli]
La bella opera, che, senza rivelare nulla di veramente dimenticato, ma rimettendo in luce molto di trascurato, ha il merito di aver conferito grande evidenza al complesso imponente di alte personalità che contribuirono ai buoni rapporti culturali fra i due paesi, vista secondo il suo disegno e i suoi propositi, è da considerarsi del tutto esauriente. È un peccato che esso abbia mantenuto nel testo originale soltanto i brani tedeschi e francesi, e abbia fornito tradotti tutti i brani italiani. Ciò forse perché intendeva rivolgersi specialmente ai lettori della Svizzera tedesca; ma un tale libro deve interessare anche i lettori della Svizzera italiana e, non poco, gli stessi Italiani. In un’appendice alcuni brani del Foscolo, del Bertola e d’altri, fra i quali c’è un frammento del caldo discorso tenuto da F. Chiesa per l’inaugurazione del Museo V. Vela, vengono pure ripetuti nel testo originale; ma l’appendice è esigua. Sarebbe desiderabile che, avuto riguardo ai fini che il libro si propone, in una nuova edizione fosse fatto maggior posto alla nostra lingua.